Giugno 2017
Poiché le elezioni francesi non hanno inferto il colpo di grazia alla costruzione europea, i mercati finanziari dovrebbero restare esuberanti ancora per qualche tempo. Infatti, alle liquidità tuttora abbondanti (oltre 1000 miliardi di dollari di quantitative easing immessi globalmente sul mercato da inizio anno) si aggiungono un ciclo economico mondiale in (seppur modesta) espansione, un dollaro debole, tassi di interesse ancora bassi e un prezzo del petrolio stabile. Che cosa si può chiedere di più?
Dall’inizio dell’anno, questa felice combinazione di condizioni di mercato ha nettamente favorito i principali titoli growth globali. All’interno di questa categoria, i maggiori player del comparto tecnologico hanno avuto più che mai la parte del leone, grazie a utili ancora molto solidi nel primo trimestre. Con la progressiva diffusione del ciclo economico, i mercati europei e, soprattutto, emergenti hanno per la maggior parte tenuto il passo con l’indice statunitense S&P 500.
Anche i mercati obbligazionari hanno ripreso a crescere, in media del 4%, grazie all’andamento stabilmente moderato degli indicatori di inflazione, che rassicura le Banche Centrali.
Su questa strada lastricata “di buone inflessioni”, non possiamo che rallegrarci della ritrovata preminenza del ciclo economico sui mercati. Tuttavia, alle soglie del secondo semestre, forse è utile rinfrescarci la memoria sul concetto di riflessività tra economia e politica, tuttora di attualità (vedasi la Carmignac’s Note di marzo), e sulla nostra percezione della dinamica dei mercati ai livelli attuali.
Fino ad oggi gli analisti hanno potuto giustificare il costante rialzo delle stime sugli utili aziendali del 2017 con elementi concreti
Fino ad oggi gli analisti hanno potuto giustificare concretamente il costante rialzo delle stime sugli utili aziendali del 2017. Nel primo trimestre, il primato assoluto va alle aziende giapponesi che registrano un aumento degli utili del 28% rispetto all’anno precedente; seguono le società europee con +23% e le statunitensi con +14%. È significativo anche il fatto che l’aumento dei fatturati sia associato alla ritrovata stabilità dei prezzi. Secondo il criterio del livello di attività l’Europa è in testa (+10%), seguita dagli Stati Uniti (+8%) e dal Giappone (+4%). Confortati da quest’ottimo inizio d’anno, gli analisti per il 2017 prevedono in media un aumento degli utili del 15% nell’Eurozona, del 13% in Giappone e del 10% negli Stati Uniti.
Nel secondo trimestre gli utili aziendali dovrebbero continuare a beneficiare del rafforzamento dei fondamentali economici. E, ancora una volta, l’Eurozona dovrebbe fare un’ottima figura: secondo la Commissione Europea, l’indice di fiducia dei consumatori, registrato a maggio, è salito al livello più alto dal luglio 2007. E questa ondata di ottimismo ha iniziato a prendere forma solo l’autunno scorso. Dovrebbe perciò durare ancora per parecchi mesi, tanto più che la locomotiva tedesca resta potente, come dimostra l’indice IFO della fiducia delle imprese al livello più alto dal 1991, anno della riunificazione.
Ma guardando oltre i prossimi mesi, si scorgono alcuni segnali che inducono a mitigare l’euforia generale.
In futuro dovremo monitorare il fenomeno della riflessività tra economia e politica in atto negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nell’Eurozona
Per ora, i vincitori delle elezioni degli ultimi dodici mesi possono vantarsi non solo della vittoria ma anche della loro buona stella. Da Londra a Washington e da Parigi a Seul, i nuovi leader hanno la fortuna di iniziare il loro mandato con un’economia che, inaspettatamente, ha il vento in poppa. E come abbiamo visto, l’economia è prioritaria per gli investitori. Non possiamo però ignorare il fenomeno della “riflessività" tra politica ed economia, ossia l’instaurarsi di un’interazione continua tra cause e conseguenze. La debolezza della crescita economica globale dalla fine della grande crisi finanziaria, il contrasto stridente tra una congiuntura mediocre e l’impennata spettacolare degli indici di borsa dal 2009, l'impotenza dei politici nel ridurre le disuguaglianze sociali tra semplici dipendenti e chi invece approfitta largamente dell’inflazione degli asset finanziari gonfiati dal quantitative easing: queste fonti di profondo scontento hanno determinato gravi rotture politiche che, a loro volta, avranno delle conseguenze economiche che si rifletteranno sui mercati.
Negli Stati Uniti, la politica economica del presidente Trump potrebbe rivelarsi meno dirompente di quella proclamata in sede di campagna elettorale. I vincoli di bilancio, l'indisciplina (forse salutare) della maggioranza repubblicana al Congresso, gli intrecci giudiziari avranno probabilmente la meglio sul grandioso progetto di riforma fiscale che a fine 2016 aveva stuzzicato l’appetito dei mercati e innescato il rafforzamento del dollaro. Probabilmente il ciclo economico statunitense dovrà rassegnarsi a subire l’invecchiamento naturale.
La Brexit invece diventerà realtà. Se la Gran Bretagna rispetta alla lettera la scelta politica espressa dai cittadini britannici nel giugno 2016, l’uscita dall’Unione Europea potrebbe alterare in maniera significativa la traiettoria economica del paese (vedasi la Carmignac’s Note di aprile). Stimolata dall’indebolimento della sterlina, l’inflazione è già salita in media al 2,5% a marzo e aprile, innescando il calo dei salari reali più rapido dal 2014. L’erosione del potere di acquisto in aprile si è già tradotta con vendite al dettaglio deludenti. La crescita dell’economia britannica nel primo trimestre 2017 (+0,3% contro + 0,7% nell’ultimo trimestre 2016) ha già registrato un rallentamento. La moneta britannica probabilmente resterà la principale variabile di adeguamento di un’economia gravata da un ingente disavanzo corrente, che l’incertezza rappresentata dalla Brexit renderà sempre più difficile finanziare.
Nell’Eurozona gli elettori francesi non hanno ceduto alle sirene delle soluzioni magiche. La probabilità di un ciclo di riforme che possano generare valore si è rafforzata, anche se la loro implementazione sarà difficile. La volontà di convergenza tra le traiettorie economiche della Francia e della Germania rappresenta anch’essa un notevole passo avanti per la sopravvivenza politica della costruzione europea attraverso un maggiore federalismo. Questa prospettiva potrebbe conferire all’Eurozona lo status di alternativa credibile agli Stati Uniti, come regione economica sicura e in crescita. Ma questo riequilibrio, che sarebbe di portata storica, nel migliore dei casi potrà iniziare a concretizzarsi solo dopo le elezioni di settembre in Germania.
Poco più di un anno fa gli indicatori economici globali, il prezzo delle materie prime e l’inflazione avevano da poco innescato la ripresa. La Cina aveva appena avviato il piano di rilancio economico attraverso il credito. Oggi dobbiamo chiederci quale sarà la prossima fase del ciclo.
La Cina ha iniziato a porre un freno all’aumento dei prestiti bancari. A livello generale, ora che non è più messa in ombra dall’incertezza politica, riemergerà la questione dell’inasprimento delle condizioni finanziarie ancora estremamente accomodanti. Se la crescita nominale globale (in termini di volume più inflazione) si manterrà in traiettoria ascendente, per quanto modesta, le Banche Centrali nel secondo semestre dovranno accelerare la normalizzazione delle politiche monetarie, frenando di fatto la valorizzazione degli asset finanziari. È ciò che faranno la Fed e la Banca Centrale cinese, mentre la BCE deve ancora chiarire le proprie intenzioni.
I settori ciclici, che hanno registrato un notevole apprezzamento, non sono gli unici esposti a questa prospettiva: i titoli tecnologici hanno segnato una performance che in termini di premi, rispetto alla media del mercato, li colloca a livelli raggiunti solo all’epoca della bolla TMT del 2000.
Le quotazioni dei mercati rappresentano solo il risultato, e non il fattore scatenante dell’inversione di tendenza. Risultato che tuttavia diventa un fattore di fragilità. Aumenta la probabilità di reazioni eccessive agli shock esogeni e alle delusioni, che nel secondo semestre sono un’evenienza plausibile.
Per concludere, il ritorno della preminenza dell’economia sui mercati rafforza la legittimità dell’analisi fondamentale. Questa ci ricorda che i mercati da un anno crescono sulla base di un ciclo economico globale sostenuto dalla ripresa cinese, dalla speranza di politiche economiche espansive e di regimi monetari estremamente favorevoli. Ci ricorda inoltre che i cicli non sono eterni e che è giunto il momento di monitorare con grande attenzione i segnali di eventuali punti di inflessione.
Fonte: Bloomberg, 29/05/2017