Nel secondo trimestre del 2022, Carmignac Patrimoine ha registrato una performance pari a -5,15%, in linea con l’indice di riferimento1 (-5,32%).
L’inflazione non ha mostrato segni di cedimento nel corso del trimestre, trainata dai prezzi elevati delle materie prime, dalle continue interruzioni delle catene di approvvigionamento, nonché da un mercato del lavoro caratterizzato da abbondanza di offerta e scarsa domanda, e dal surriscaldamento del mercato immobiliare negli Stati Uniti. Di conseguenza, le Banche Centrali dei mercati sviluppati hanno attuato politiche monetarie sempre più restrittive, con la Federal Reserve che ha aumentato il tasso d’interesse di riferimento di 75pb raggiungendo un intervallo compreso tra 1,5% e 1,75%, e con la BCE che sta preparando i mercati a un rialzo dei tassi a luglio, un percorso che non intraprendeva dal 2011. Verso la fine del periodo, la crescita ha manifestato i primi segnali di debolezza, evidenziati dalla pubblicazione di dati PMI deludenti, e l’attenzione del mercato si è spostata sul rallentamento economico. I tassi di interesse più alti hanno penalizzato gli asset rischiosi, determinando il calo delle valutazioni azionarie (escluso il settore dell’energia) e l’aumento degli spread del credito. A giugno, i timori di recessione hanno allentato la tensione sui tassi di interesse, consentendo ai mercati di riprendere fiato. In Cina, la recrudescenza dei casi di Covid all’inizio del trimestre ha portato a rigidi lockdown, facendo registrare all’economia un’ulteriore fase di stallo e penalizzando la performance del paese. Verso la fine del trimestre, il miglioramento della situazione sanitaria, in combinazione con aspettative di piani di stimolo ed allentamento delle misure normative, ha alimentato la ripresa di quest’area geografica.
Carmignac Patrimoine ha registrato una performance negativa nel periodo. I fattori che hanno contribuito alla performance possono essere riepilogati come segue:
Il nostro approccio all’inizio di questo trimestre è stato cauto. In effetti, prevedevamo che la Federal Reserve avrebbe inasprito la politica monetaria “a qualunque costo”, indipendentemente dalle ripercussioni sugli asset finanziari. Allo stesso tempo, ci aspettavamo che la BCE potesse trovarsi in una situazione molto difficile, dovendo fronteggiare l’inflazione in un contesto di crescita molto allarmante e di indebitamento nettamente più elevato. Abbiamo quindi mantenuto un approccio decisamente difensivo, caratterizzato da bassa esposizione azionaria (13% in media nel periodo), investimenti nel credito ridotti in combinazione con l’aumento delle coperture di CDS. Questo posizionamento è stato molto utile per compensare le ampie perdite subìte sul fronte azionario. Tuttavia, non è bastato a mitigare l’ampliamento degli spread creditizi, che hanno risentito del duplice impatto legato all’aumento dei tassi di interesse e del rischio di credito.
Nella componente azionaria, il ribilanciamento verso titoli azionari più difensivi si è rivelato vincente, come illustrato dalla performance positiva dei titoli farmaceutici in portafoglio (Eli Lilly, Novo Nordisk). Tuttavia, la nostra esposizione all’oro, incrementata nel periodo al fine di gestire i rischi geopolitici ed economici, non è riuscita a giocare il ruolo di bene rifugio. Nella componente obbligazionaria, eravamo posizionati in vista dell’appiattimento della curva dei rendimenti statunitense, poiché prevedevamo che l’aumento dei tassi di interesse a breve termine, a seguito della normalizzazione della politica monetaria, avrebbe iniziato a penalizzare la crescita, rispecchiata nelle scadenze più lunghe. Contemporaneamente all’appiattimento della curva, anche i rendimenti sulle scadenze più a lungo termine hanno finito per registrare un aumento, determinando un cambiamento di direzione parallelo della curva dei rendimenti. Infine, la politica monetaria più restrittiva della BCE è tornata ad alimentare i rischi di frammentazione; paesi come l’Italia, che sono stati in grado di finanziarsi a tassi bassi, sono stati ritenuti vulnerabili di fronte a tassi di interesse “normalizzati” più alti, dato che negli ultimi anni il loro rapporto debito/PIL è aumentato vertiginosamente. Pertanto, avevamo aperto posizioni corte nel debito dell’Italia a titolo di copertura contro tale rischio, che non si è concretizzato in quanto la Banca Centrale è riuscita a rassicurare i mercati verso la fine del periodo.
Le Banche Centrali non paiono ancora intenzionate ad allentare la stretta monetaria. In effetti, Jerome Powell ha ribadito davanti al Congresso la propria riluttanza ad abbassare i tassi di interesse, fintanto che il calo dell’inflazione non sarà tangibile. La Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS) ha inoltre avvertito che “le Banche Centrali dovrebbero aumentare drasticamente i tassi di interesse per non rischiare un periodo prolungato di inflazione alta”. In Europa, il fatto di fronteggiare i rischi di frammentazione è indicativo delle intenzioni della BCE di voler intraprendere un rigido percorso di inasprimento monetario, sulla scia della Federal Reserve. Tuttavia l’inflazione dovrà essere gestita, mentre nel frattempo la crescita si sta sempre più indebolendo trascinata al ribasso dal protrarsi della guerra in Ucraina, nonché dalle sanzioni in corso e da quelle potenziali. Le Banche Centrali si trovano quindi bloccate tra l’incudine e il martello, e dal nostro punto di vista l’aspetto fondamentale non è se le Banche Centrali siano in grado di contrastare l’inflazione senza trascinare le economie avanzate in una recessione, ma piuttosto quale possa essere la portata del rallentamento economico. In Cina il mix di politiche di sostegno del governo, destinate probabilmente a rafforzarsi con il miglioramento della situazione sanitaria, pone il paese in una posizione notevolmente diversa e nettamente migliore rispetto ai concorrenti occidentali.
Sul fronte azionario, dopo che le valutazioni di mercato hanno risentito dell’aumento dei tassi di interesse nella prima metà dell’anno, gli utili societari dovrebbero rappresentare la forza trainante dei mercati azionari in prospettiva futura. Tuttavia, nonostante gli utili si siano dimostrati resilienti dall’inizio dell’anno, dovrebbero subire pressioni a livello globale, poiché l’impatto degli aumenti dei costi e la capacità di trasferirli sui consumatori devono ancora essere rispecchiati nei margini. Di conseguenza, la nostra focalizzazione su aziende di qualità, caratterizzate da margini elevati e stabili e/o da solide prospettive di crescita, dovrebbe sostenere la performance in prospettiva futura, in particolare poiché la maggior parte di loro ha subìto un sensibile abbassamento del rating dall’inizio dell’anno. Privilegiamo i settori difensivi caratterizzati da qualità, in particolare all’interno dei settori healthcare, beni di largo consumo e software, che hanno registrato un’accelerazione nel momento in cui i mercati sono tornati a focalizzarsi sul rallentamento della crescita. Controbilanciamo questo posizionamento core con una sovraesposizione al settore dell’energia. Nonostante quest’ultimo sia un settore ciclico, riteniamo che la ripresa della domanda e la contrazione dell’offerta dovrebbero innescare un ciclo pluriennale di investimenti in conto capitale da parte delle compagnie petrolifere. Inoltre, gas e petrolio continuano a soddisfare una quota significativa della domanda di energia, mentre le energie rinnovabili continuano a crescere soppiantando il carbone. Alcune società energetiche tradizionali, che operano in questa fase di transizione, sono quindi particolarmente ben posizionate nel contesto attuale. Infine, abbiamo aumentato la nostra esposizione alla Cina, a cui siamo ormai sovraesposti rispetto all’indice di riferimento, poiché riscontriamo un’accelerazione in questo paese sulla scia di un mix normativo e di politiche più favorevole, amplificato dai massicci abbassamenti di rating degli ultimi mesi.
Sul fronte obbligazionario, riteniamo che i mercati del credito abbiano ampiamente scontato sia l’inasprimento delle politiche monetarie che i rischi di recessione, come indicato dall’impennata storica ed estrema della volatilità dall’inizio dell’anno. Nonostante le apparenze, ciò ha offerto diverse opportunità specifiche a cui ci stiamo gradualmente esponendo, pur continuando a coprire il rischio di mercato nel suo complesso. In effetti, riteniamo che il rendimento di alcuni di questi titoli compensi ampiamente la volatilità attuale. All’interno del credito privilegiamo in particolare il debito finanziario subordinato, poiché la ricapitalizzazione delle banche europee le ha rese più resilienti, mentre l’aumento dei rendimenti ha migliorato la loro redditività. Privilegiamo inoltre le obbligazioni CLO (collateralized loan obligation), grazie alla loro struttura a tasso variabile sostenuta da prestiti investment grade (BBB) che offrono carry trade interessante. A livello di titoli governativi, manteniamo un atteggiamento prudente nei confronti delle obbligazioni dell’Eurozona, data la volontà della BCE di attuare l’inasprimento monetario. Al momento, deteniamo posizioni corte nel debito di Italia e Germania. All’interno dei mercati emergenti, privilegiamo i paesi che beneficiano delle dinamiche di onshoring/reshoring (la pratica di riportare la produzione più vicino al proprio paese), dell’esportazione di materie prime e di rendimenti reali positivi. Ad esempio, ai livelli attuali, riteniamo interessanti le obbligazioni messicane, in particolare poiché questo paese esportatore di petrolio è ben posizionato per rilevare parte delle esportazioni cinesi di merci negli Stati Uniti.
Nel complesso, la fine delle politiche accomodanti comporta il ritorno della volatilità. Riteniamo che sia necessaria un’asset allocation flessibile, nonché una gestione attiva dei rischi. A tale proposito, con l’inizio del terzo trimestre manteniamo un approccio prudente, caratterizzato da esposizione azionaria bassa (pari a circa il 17%) e componente di liquidità elevata (29%), che siamo pronti a utilizzare in funzione delle continue dislocazioni dei mercati, nonché da un’esposizione agli asset rifugio come il dollaro USA (40%) e l’oro (3%), con quest’ultimo che tende a registrare performance positive in contesti di instabilità geopolitica e di inflazione. Nonostante questa cautela, stiamo preparando Carmignac Patrimoine alla ripresa del mercato che potrebbe registrarsi, alimentando efficacemente la creazione di importanti driver di performance futuri.
*Scala di Rischio del KID (documento contenente le informazioni chiave). Il rischio 1 non significa che l'investimento sia privo di rischio. Questo indicatore può evolvere nel tempo. **Il Regolamento SFDR (Regolamento sull’informativa di sostenibilità dei mercati finanziari) 2019/2088 è un regolamento europeo che impone agli asset manager di classificare i propri fondi in tre categorie: Articolo 8: fondi che promuovono le caratteristiche ambientali e sociali, Articolo 9 che perseguono l'investimento sostenibile con obiettivi misurabili o Articolo 6 che non hanno necessariamente un obiettivo di sostenibilità. Per ulteriori informazioni consultare: https://eur-lex.europa.eu/eli/reg/2019/2088/oj?locale=it. Per le informazioni relative alla sostenibilità ai sensi del Regolamento SFDR si prega di prendere visione del prospetto del oppure fondi delle pagine del sito web di Carmignac dedicate alla sostenibilità fondo https://www.carmignac.it/it_IT/i-nostri-fondi).
Carmignac Patrimoine | 8.8 | 0.7 | 3.9 | 0.1 | -11.3 | 10.5 | 12.4 | -0.9 | -9.4 | 2.2 |
Indice di riferimento | 16.0 | 8.4 | 8.1 | 1.5 | -0.1 | 18.2 | 5.2 | 13.3 | -10.3 | 7.7 |
Carmignac Patrimoine | - 0.6 % | + 2.3 % | + 1.4 % |
Indice di riferimento | + 2.9 % | + 5.3 % | + 6.3 % |
Fonte: Carmignac al 29 nov 2024.
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