Flash Note
ESG: gestione del rischio o green bubble?
Un dibattito politico
Assistiamo non senza stupore alle schermaglie politiche negli Stati Uniti sull’ESG come approccio di investimento, culminate di recente con la netta polarizzazione sulla norma del Dipartimento del Lavoro tra i due schieramenti politici che dibattono sull’opportunità che le società di asset management includano nel processo decisionale valutazioni ESG che possono avere un impatto finanziario rilevante.
Ora, immaginate di essere un gestore, seduto di fronte a un pensionato che ha lavorato tutta la vita per mettere da parte dei risparmi, e dovete spiegargli che gli avete fatto perdere denaro perché la legge vi impone di non considerare le seguenti variabili all’interno della decisione di investimento:
I potenziali impatti sui profitti aziendali delle novità normative in materia ambientale;
I potenziali impatti sulla generazione di reddito di una scarsa soddisfazione dei clienti;
I potenziali impatti di una scarsa soddisfazione dei dipendenti sulla capacità dell’azienda di fidelizzare le professionalità, sul tasso di scioperi e la produttività aziendale;
I potenziali impatti di amministratori non esecutivi troppo impegnati per chiedere conto al management delle sue azioni.
Sono tutte tematiche ESG che hanno chiaramente un impatto finanziario rilevante e che è importante considerare in un processo di investimento che si prefigge di analizzare i rischi. Nonostante la tempesta mediatica sulla norma del Dipartimento del Lavoro USA, è sempre stato chiaro, sia per Trump che per il Presidente Biden, pur nelle rispettive narrazioni giuridiche, che in un investimento possono essere incluse tutte le valutazioni rilevanti per l’analisi del rischio e del rendimento1.
Fu una norma varata da Trump nel 2020, che chiedeva un’analisi fiduciaria approfondita sui fattori ESG, a far percepire una sorta di battuta d’arresto sull’opportunità di includere le considerazioni ESG nei processi di investimento.
Approcci divergenti alle definizioni ESG
La principale fonte di confusione nella stampa e nel dibattito politico sembra essere la mancata distinzione tra investimenti etici, sostenibili e a impatto e l’integrazione ESG. L’espressione “integrazione ESG” descrive in genere un approccio di investimento collaudato e ampiamente impiegato che utilizza le informazioni su elementi ambientali, sociali e di governance societaria come fonte alternativa di dati rispetto al semplice utilizzo di fonti tradizionali, come i bilanci societari o i report di settore, per comprendere meglio le caratteristiche di rischio e rendimento di un titolo.
Il report dei Principi per l’investimento responsabile delle Nazioni Unite (UNPRI) sul dovere fiduciario ha riaffermato la posizione che l’integrazione dei criteri ESG nelle decisioni di investimento è parte del dovere fiduciario, pur riconoscendo che è basata sulla premessa che le valutazioni ESG sono finanziariamente rilevanti2.
Naturalmente può essere soggettivo quanto una tematica ESG sia finanziariamente rilevante. Seguendo la stessa logica, può essere soggettiva anche la valutazione della misura in cui il deprezzamento di una moneta, un ciclo economico o una variazione di liquidità possono influire sul prezzo di un titolo. Sono queste diverse visioni e interessi anche divergenti che fanno il mercato.
Le cose si complicano quando l’approccio all’investimento si concentra sull’utilizzo degli aspetti ESG non solo come complesso di informazioni per migliorare l’analisi del rischio e del rendimento, ma anche per evitare danni importanti o per aumentare l’esposizione alle società che esercitano un impatto positivo, per esempio in settori quali l’istruzione, le energie pulite o healthcare. Questo approccio può essere utilizzato per sfruttare i rischi o le opportunità finanziari, oppure può anche essere già integrato nel processo di investimento o semplicemente corrispondere a un desiderio di investimento del cliente finale.
Considerazioni ESG trasversali
Oggigiorno l’integrazione dei criteri ESG è talmente diffusa nell’industria dell’asset management che, quando viene spiegata correttamente, i gestori e gli analisti affermano il più delle volte di tenerne naturalmente conto.
Un approfondito studio condotto presso asset manager di tutto il mondo che rappresentano in totale $31 mila miliardi di asset ha rilevato che l’82% degli intervistati tiene conto delle informazioni sugli aspetti ambientali, sociali e di governance all’interno del proprio processo di investimento e la maggior parte lo fa perché ritiene che si tratti di un fattore di performance o di un ambito di interesse per il cliente3.
Ci sono poi ragionevoli preoccupazioni che l’ESG come concetto stia dando origine a una green bubble, una bolla verde nelle valutazioni, che sarebbe sostenuta dal crescente interesse degli investitori per questi aspetti, dal moltiplicarsi di normative in materia, per esempio il Regolamento SFDR dell’Unione europea, e dal rapido susseguirsi di innovazioni sulle tecnologie pulite, molto promettenti se si ragiona in un’ottica di investimento growth.
La principale preoccupazione è che una valanga di “denaro ESG” si riversi in un numero ristretto di titoli considerati “ESG”. Addirittura un’organizzazione come la banca centrale delle Banche centrali - la BRI, la banca dei regolamenti internazionali – ha dichiarato a settembre 2021 che le “valutazioni degli asset ESG potrebbero essere troppo elevate.”4
L'ipotesi della bolla è confutata, ma è sotto esame
Tuttavia, l’idea di una bolla green non è confermata dalle analisi del rapporto prezzo/utili e prezzo/patrimonio netto. Il PER (rapporto prezzo/utili) medio dell’indice MSCI ACWI è di 35. Per i titoli con una performance ESG più elevata è ugualmente di 355, mentre per i titoli ESG con performance meno elevate, il PER medio è di 42, quindi i prezzi di mercato sono più alti per i titoli ESG meno brillanti. Ritroviamo un’analisi simile anche sul rapporto prezzo/patrimonio netto (price to book), con un indice MSCI ACWI al 6.2, i titoli ESG migliori al 5.7 e quelli più deboli al 4.96, a significare che i titoli con una performance ESG media hanno valutazioni più elevate mentre sono valutati meno bene i titoli con performance ESG più e meno brillanti e le società che operano nel settore delle tecnologie pulite. Un indicatore che vanta un PER più elevato rispetto all’indice MSCI ACWI è un indice che raggruppa società operanti nelle tecnologie pulite, il che dimostrerebbe che gli investitori sono disposti a pagare di più per società che offrono prospettive di crescita ecosostenibile a lungo termine.
Tutti questi diversi aspetti legati alle valutazioni faticano a convincerci che si stia preparando una bolla verde sistemica. Se da un lato normative come il Regolamento SDFR dell’Unione europea e il crescente interesse dei clienti verso le tematiche ESG inducono a pensare che in teoria ci potrebbe essere una maggiore domanda di titoli in linea con questi interessi, dall’altro la formulazione estremamente generica delle normative e la grande varietà di interessi dei clienti in tema di ESG ci fanno presupporre che non ci siano gli estremi per una bolla oggi. Si tratta in ogni caso di una preoccupazione legittima che vale la pena continuare a monitorare con attenzione.
1https://corpgov.law.harvard.edu/2023/02/02/esg-investing-after-the-dol-rule-on-prudence-and-loyalty-in-selecting-plan-investments-and-exercising-shareholder-rights/
2Fiduciary Duty in the 21st Century, Nazioni Unite (2016).
3Why and How Investors use ESG information: Evidence from a Global Survey by Amel-Zadeh and George Serafeim; Financial Analysis Journal (2018).
4https://www.reuters.com/business/sustainable-business/global-markets-bis-esg-urgent-2021-09-20/
5Fonte: Carmignac, MSCI, marzo 2023.
6Fonte: Carmignac, MSCI, marzo 2023.