Ottobre 2017
Il ritorno dei capitali nell’Eurozona dovrebbe parzialmente salvaguardare i mercati azionari europei dal rischio obbligazionario, rafforzando la moneta unica
All’inizio di quest’ultimo trimestre del 2017, è abbastanza sorprendente notare come né la BCE né la Fed abbiano ancora avviato le prossime rispettive fasi di “normalizzazione” delle politiche monetarie, quando invece il contesto economico lo giustificherebbe ampiamente. La Fed si trova in una fase più avanzata, ma è rimasta estremamente accomodante. La BCE non si è ancora nemmeno mossa. Nell’Eurozona la crescita economica è tuttavia leggermente superiore al potenziale di lungo periodo, mentre le aspettative di inflazione si sono stabilizzate e risultano addirittura in ripresa. Negli Stati Uniti la crescita resta solida e la situazione del mercato del lavoro migliora ogni giorno.
In entrambe le aree geografiche, l’aumento del prezzo degli asset finanziari richiede senso di responsabilità da parte delle Banche Centrali, affinché smettano di alimentare maggiormente questo fenomeno. Tuttavia, per timore dei continui rischi politici che si manifestano dall’estate 2016, a causa della frustrazione nei confronti di un obiettivo di inflazione irraggiungibile definito negli statuti, forse per timore dei mercati, finora le Banche Centrali hanno confermato le ipotesi degli investitori, che hanno scommesso sul fatto che la fase difficile venga costantemente rinviata. Questa alternanza di false partenze ha prolungato il prodigio artificiale di una correlazione positiva tra azioni e obbligazioni. La ripresa del ciclo economico, in combinazione con il sostegno monetario, ha continuato a offrire ai mercati il cocktail energizzante in grado di aumentare costantemente il prezzo di tutte le asset class. I temerari hanno continuato a essere premiati, mentre la gestione dei rischi a essere inutile.
Il traguardo di questo percorso a ostacoli non è però affatto scomparso, e le Banche Centrali sono consapevoli di esserne ora anche notevolmente vicine. I mercati obbligazionari non sono pronti per questo cambio di rotta, mentre i mercati azionari auspicano di potersi liberare, finché sostenuti dal ciclo economico, dalla forza di gravità che le obbligazioni eserciteranno in quel momento.
Come ha confermato il presidente Janet Yellen, la fase di riduzione della dimensione del bilancio della Federal Reserve statunitense, dopo otto anni di drastica espansione, verrà avviata entro la fine dell’anno. L’allentamento delle condizioni finanziarie innescato dalla debolezza del dollaro e il piano di tagli fiscali, a cui recentemente Donald Trump ha fatto riferimento, potranno solo rafforzare questa prospettiva. Il Presidente della Banca Centrale Europea persegue lo stesso obiettivo: nel mese di ottobre renderà noti i dettagli relativi alle modalità di arresto graduale dell’espansione del suo bilancio. Per la prima volta dal 2008, la dimensione complessiva dei bilanci delle quattro principali Banche Centrali a livello mondiale inizierà a ridursi l’anno prossimo. Nonostante ciò, i mercati finanziari continuano a far finta di non vedere, come se il “quantitative easing perenne” possa ancora essere uno scenario credibile.
Negli Stati Uniti, questa indulgenza può essere motivata più facilmente. Noi stessi riteniamo che in questi ultimi trimestri il ciclo economico sia in fase di esaurimento. L’attività industriale sta già mostrando alcuni segni di rallentamento (si veda la Carmignac’s Note di settembre “La strategia del parafulmine”). La crescita dei consumi si basa invece su un’estensione storica del credito al consumo e su un calo significativo del tasso di risparmio, parametri che non presentano più alcun margine di miglioramento, in particolare quando i tassi d’interesse torneranno a crescere. Di conseguenza è legittimo aspettarsi che il processo di rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti abbia vita breve.
Quando il ritmo dell’attività economica subirà un’inversione di tendenza, la Fed non potrà ignorare il fatto che proseguire sulla via dell’inasprimento monetario potrebbe solo accelerare questa inversione di tendenza. Negli Stati Uniti la curva dei tassi di interesse, costantemente piatta, rispecchia già questa prospettiva. È sempre per questo motivo che i titoli “growth” statunitensi sono tornati a sovraperformare le azioni cicliche, e che il dollaro non ha registrato una ripresa più marcata questa estate, dopo otto mesi di continua flessione. A tale proposito il progetto tardivo di tagli alle imposte del governo Trump, anche qualora riuscisse a superare una procedura fiscale che si prevede complessa, non è di per sé in grado di generare uno shock sufficiente a inibire questa logica.
I mercati obbligazionari europei non potranno evitare l’impatto delle riduzioni dell’apporto di liquidità da parte della BCE
Come sosteneva il Presidente de Gaulle più di cinquant’anni fa, non serve a nulla riaffermare con passione la propria fedeltà all’Europa, « bisogna considerare le cose per come sono ». La grande crisi finanziaria del 2008 ha inferto un colpo estremamente duro al sogno della coesione dell’Eurozona. Le performance economiche hanno registrato una profonda divergenza tra la Germania e gli altri paesi, a cui ha fatto seguito una forte contrapposizione dell’opinione pubblica. Le imprese, gli investitori e i detentori di asset a livello mondiale hanno espresso questa crisi esistenziale disertando in massa la moneta unica da quasi dieci anni (si veda il grafico).
Sicuramente dopo che il 2016 aveva aperto le porte al rischio di una diffusione letale delle logiche di frammentazione politica ed economica nell’Eurozona, le elezioni francesi hanno arrestato la propagazione nel 2017. Tuttavia, le democrazie europee restano sotto la pressione di popolazioni frustrate, sia per la scarsa ricchezza economica generata dalle loro economie negli ultimi dieci anni, sia per la condivisione che ne viene fatta. Le riforme per l’economia francese e per la governance dell’Eurozona proposte dal Presidente Emmanuel Macron dovranno tassativamente avere successo, così che l’interesse per il populismo non possa tornare a manifestarsi con maggiore entità in occasione delle prossime consultazioni elettorali. Anche se dovrà superare l’avversione al cambiamento in Francia, ha comunque un ampio controllo sull’attuazione del suo programma. Dovrà invece convincere la prossima coalizione tedesca dell’esigenza di una riforma dell’Eurozona, e questa coalizione non risulta nemmeno ancora definita.
Tuttavia tra la tradizione tedesca del compromesso politico intelligente (“Konsens denken”), e la necessità assoluta dei partiti moderati (CDU-CSU, FDP, Verdi, SDP) di trovare un accordo su un progetto credibile per il futuro, per non essere sconfitti in ultima analisi dagli estremisti nazionalisti, è legittimo scommettere che possa prevalere l’interesse per una volontà politica comune. Nel breve periodo, il sostegno della congiuntura economica contribuirà a far accettare le riforme più complesse, e questo è anche il senso che deve essere attribuito al ritmo accelerato adottato dal governo del Primo Ministro francese Edouard.
Questo ciclo di crescita e le nuove dinamiche europee non consentiranno ai mercati obbligazionari dell’Eurozona di evitare l’impatto indotto dalle riduzioni dell’apporto di liquidità da parte della BCE. Il livello eccezionalmente basso dei tassi di interesse del debito sovrano tedesco diventerà presto insostenibile. È un rischio che bisogna assolutamente continuare a gestire, nonostante le continue false partenze abbiano reso le coperture inefficaci negli ultimi mesi. Il ritorno dei capitali nell’Eurozona e la ripresa della curva dei rendimenti potrebbero invece inizialmente sommarsi ai meriti del ciclo economico, per salvaguardare i mercati azionari europei dal rischio obbligazionario, rafforzando tendenzialmente la fiducia degli investitori nella moneta unica.
Fonte : Bloomberg, 29/09/2017