Donald Trump Makes the Rest of the World Great Again

Istituzionalizzando l’incertezza e l’instabilità, Trump costringe il resto del mondo a focalizzarsi sulle proprie forze e sulla propria sovranità

Data di pubblicazione
19 marzo 2025
Tempo di lettura
4 minuto/i di lettura

In pochi giorni, il mondo è cambiato profondamente. Si può pensare ciò che si vuole di Donald Trump ma, obiettivamente, possiamo negargli il merito di alimentare, sicuramente con clamore, la grande ripresa della volontà in politica senza vederne l’impatto? Questo attivismo fuori dal comune viene realizzato attraverso la ricerca di accordi (di deal) ottenuti con una violenza a cui le democrazie occidentali non sono abituate. Istituzionalizzando l’incertezza e l’instabilità, Donald Trump costringe il resto del mondo a focalizzarsi sulle proprie forze e sulla propria sovranità, poiché ciò costerà meno allo Zio Sam.

Di fronte a Zelensky umiliato, è con l’Europa che Trump ha negoziato

Tutte le affermazioni di Trump, tutti i rinvii che fanno seguito ai suoi propositi iniziali, sono parte integrante di trattative di cui i suoi interlocutori possono persino ignorare l’esistenza, o addirittura ignorare la loro stessa partecipazione a tali trattative. Infatti, due giorni dopo l’umiliazione televisiva del Presidente ucraino da parte di Trump e le conclusioni a cui gli Europei sono giunti immediatamente, « gli Stati Uniti non sono più nostri alleati », l’Europa si è finalmente raccolta per tentare di esistere, e la Germania si è apprestata ad annunciare un piano di investimenti nella difesa e nelle infrastrutture pari al 20% del PIL. Di fronte a Zelensky, è proprio con l’Europa che Trump ha negoziato.
Designando con enfasi il suo nuovo nemico (la Russia di Putin e la minaccia che rappresenta per la sicurezza di tutta l’Europa occidentale), in due giorni l’Europa e la Germania hanno rinunciato al rigore di bilancio che era una delle loro caratteristiche più tangibili. La “minaccia russa” giustifica qualsiasi cosa. Soprattutto, consente di intravedere alla fine del tunnel la luce di una crescita più sostenuta, a cui il potere politico europeo aveva rinunciato da tempo con la propria sottomissione ai criteri di Maastricht e per paura dell’inflazione. Fornendo all’Europa un alibi per consentirle di partecipare attivamente alla crescita dell’economia globale e imponendo al Vecchio Continente di contribuire in ampia misura allo sforzo per la difesa, come aveva minacciato molte volte durante la propria campagna presidenziale, Trump « rende l’Europa nuovamente grande » (MEGA).

In Cina, le trattative che non sono iniziate sembra che stiano comunque già producendo degli effetti!

Ancor prima dell’avvio delle trattative, ma dopo l’aumento dei dazi doganali esistenti imposti dagli Stati Uniti alla Cina, quest’ultima ci ha fatto sapere, attraverso la voce del suo Primo Ministro, che “i consumi cinesi saranno d’ora in poi una priorità”. La trattativa sui dazi, che non è iniziata, sembra stia già producendo degli effetti! Una Cina interessata ai propri consumi è una novità, poiché fino ad oggi in questo paese promuovere i consumi era considerato come una deriva deplorevole tipica delle economie liberali in cerca di crescita. Da quando la Cina è entrata a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, ha generato infrastrutture e capacità di produzione che le hanno consentito di inondare il mondo di merci a prezzi imbattibili: la Cina è sempre stata un potente driver di disinflazione per l’economia globale. Una riorganizzazione della sua economia a favore dei consumi è una sorpresa, la cui probabilità ad oggi è diventata tuttavia un’urgenza. Nel momento in cui Trump ha chiaramente indicato che gli Stati Uniti non saranno più l’acquirente di ultima istanza dei prodotti degli alleati presenti e passati, la Cina sembra prevedere che le verrà chiesto di ridistribuire buona parte della sua produzione ai propri consumatori o ad altri partner. Perché non provarci? Questo potenziale sconvolgimento, che ovviamente dovrebbe prima concretizzarsi, sarebbe significativo; i suoi effetti sulla crescita della domanda a livello mondiale e sui prezzi potrebbero non essere di poco conto. Dopo quattro anni di indebolimento economico dal sentore deflazionistico in Cina, si può ipotizzare che Trump riuscirà anche a “rendere la Cina nuovamente grande”?

Trump « rende l’America diversa », ma non è detto che ne faccia un nuovo slogan

Mentre l’attivismo di Trump preoccupa mercati, imprenditori e consumatori statunitensi, il Segretario di Stato del Tesoro annuncia che Main Street (il ceto medio) è oggetto delle attenzioni della politica di Trump. Anche questo annuncio, se avesse conseguenze, sarebbe molto importante. La piena occupazione e il potere d’acquisto sono prioritari. Finora erano stati solo la conseguenza di una politica volta a sostenere la domanda statunitense, favorendo l’effetto ricchezza attraverso l’apprezzamento degli asset finanziari e immobiliari garantito dai tassi bassi. I proprietari di asset hanno beneficiato di questa politica, mentre altri ne hanno invece risentito a causa degli aumenti salariali molto limitati che l’hanno accompagnata. La politica di reindustrializzazione statunitense volta a sostenere il ceto medio dovrebbe essere, quanto meno inizialmente, piuttosto inflazionistica, mentre l’aumento indotto dei tassi di interesse non dovrebbe favorire Wall Street. Trump lavora per i suoi elettori: Trump « rende l’America diversa »! Non è detto che ne faccia un nuovo slogan.

La convergenza delle tendenze attuali e di lungo periodo favorisce la volatilità dell’inflazione, una crescita economica garantita e tassi di interesse a lungo termine più elevati

Gli sviluppi qui previsti per Europa, Cina o Stati Uniti potrebbero forse non concretizzarsi. Tuttavia queste prospettive, riconducibili a un contesto geopolitico guerrafondaio e a una minore fluidità del commercio globale, trasmettono un messaggio analogo a quello fornito dal mutamento delle principali tendenze strutturali negli ultimi anni: un contesto demografico meno favorevole agli investimenti e all’austerità sui salari, un contesto geopolitico diventato sempre più belligerante anche prima del ritorno di Trump, un commercio mondiale già indebolito di fronte alle barriere doganali, e un contesto sociale meno favorevole alla produttività. Riconoscere questi mutamenti, e credere a ciò che osserviamo, significa intravedere un regime economico in cui l’inflazione torna a essere ciclica, dove la crescita economica diventa nuovamente un obiettivo politico dichiarato, e in cui i tassi di interesse nominali si normalizzano a livelli più alti. Questa convergenza tra tendenze attuali e di lungo periodo favorisce un’ampia e progressiva rotazione economica e dei mercati finanziari degli Stati Uniti verso il resto del mondo; una transizione dall’era delle Banche Centrali a quella della politica, dall’era dei tassi bassi per il mercato azionario a quella del potere d’acquisto per il ceto medio. L’indebolimento del dollaro conseguente a questa grande rotazione consentirebbe ai paesi emergenti di registrare una nuova ondata di sovraperformance, dopo la loro relativa apatia degli ultimi quindici anni. Donald Trump « rende il resto del mondo nuovamente grande ». Dopotutto, i tempi non sono poi così cupi.

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